di Marilena Pasquali in LeArti News, Marzo 1984 |
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Bacchetta magica, 1976 |
Due personali a Roma e a Bari ripropongono il lavoro di Ettore Consolazione, portandone in luce i caratteri specifici. La relazione fra le due mostre e assai stretta, tanto che l'ipotesi d'immagine che vi si coglie e unitaria, mentre vi si possono sottolineare sfaccettature e particolarità di una ricerca ricca di tensione e di senso dell'avventura. |
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Come ha scritto di recente Laura Cherubini, "la storia che Ettore Consolazione ci narra è quella delle peripezie della materia e della sua inesorabile metamorfosi in immagine". E una metamorfosi inarrestabile, un processo che si solidifica in opere dense ma non si acquieta in approdi sicuri, per riprendere il viaggio e tentare strade nuove. Come in ogni racconto che si rispetti, ciò che più conta e la "prova", i pericoli dell'ignoto che, nel momento stesso in cui vengono affrontati, rivelano la propria affascinata ambiguità: vero e falso, gioco prospettico e fisicità ineludibile, illusione da imbonitore e realtà contro cui scontrarsi. Nello scontro la favola si deforma, stretta fra le spire della quotidianità, come in una sala di specchi senza fondo che non riflettono più 1'immagine ma soltanto un desiderio d'immagine. L'impressione di spaesamento si fa intensa e nascono nuove forme ibride che mantengono tratti della fisionomia iniziale distorcendoli in apparizioni inaspettate. Tali sono Il pittore che da il nome alla mostra del Centrosei di Bari ed Il gigante che campeggia all'Ariete di Roma. Se il primo rilegge la divina proporzione dell'uomo rinascimentale, proponendone un'interpretazione stregata in cui gli elementi si evidenziano in forme complesse ed inattese mentre un odore di zolfo pare inquinare ed esaltare la dimensione umana, il Gigante perde ogni terribili e si adagia sui piedi d'argilla come un pupazzo disarticolato. |
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I segni del potere e della storia ci sono tutti – l'armatura, le bandiere al vento, l'insegna del cavaliere –, ma il povero Rodomonte pezzato pare più un costume teatrale dimenticato che il campione di un’umanità vittoriosa. Anche nel mito il corno di Orlando non risuona più e 1'incanto e dato da altre cose: la precarietà, l'ironia affascinata di ogni situazione, il piacere di continuare a narrare pur sapendo che anche la favola è assediata dalle immagini banali del quotidiano. Anche un senso di natura entra nel gioco dell'artista, teso a contrastare le proposte ubriacanti della nuova tecnologia in una ipotesi di immagini che riconduce alla complessità del dato umano. Consolazione infatti piega torricini e vessilli fino a trasformarli in forme vegetali ed organiche da cui colano essenze e profumi, quasi fossero steli e pistilli di fiori sconosciuti. Da fondali dipinti sorgono forme ambigue, estremamente vitali, in cui la fisicità pare condensarsi in una materia morbida e spessa come un corpo femminile. In apparenza, opere come L 'albero rosso o i mazzi di torri-sigla di Senza titolo. Terra-acqua-fuoco paiono rispondere ad una logica diversa da quella delle immobili apparizioni del Pittore e del Gigante ma, ad uno sguardo più approfondito, si rivelano figli di un'unica, variegata sensibilità. Non solo gli strumenti della composizione sono gli stessi ma ogni immagine si riflette ne11'altra a creare quell'illusione di universo parallelo, di mondo inesplorato al di la dell'orizzonte quotidiano, che consente di eleggere a compagni di strada i cavalieri dimezzati dell'artista, trovando in loro quel tanto di umanità che li rende vivi e capaci di entusiasmi. |
Orsa maggiore, 1974 |