di Filiberto Menna In Trovaroma - La Repubblica , Roma, 12 dicembre 1986 |
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Stella, 1973 |
Ricordo un testo di Michel Seuphor dedicato alla scultura nella rivista "Preuves" : "Sembra" scriveva il critico-artista, "che 1'arte odierna, come 1'uomo, avanzi su due piedi, il sinistro che conquista e il destro che conserva". Al primo, corrisponde la pittura, che concede sempre più alla foga romantica ed al gesto rivoluzionario; al secondo, invece, la scultura, che, anche nei suoi tentativi più arditi, conserva sempre un accento di classicità. E questo perché la scultura e legata ad una maggiore misura stilistica a causa degli stessi mezzi che e costretta a impiegare, mentre alla pittura conviene più facilmente il grido, 1'effusione diretta e incontrollata. Seuphor scriveva alla fine degli anni Cinquanta e il suo bersaglio era l'accademismo informale, ma i suoi "argomenti per la scultura" possono essere riproposti ancora oggi, proprio per alcune declinazioni della scultura, che, più della pittura, sembrano soddisfare una più marcata esigenza di costruttività e di rigore formale. L'opera di Ettore Consolazione e senz'altro un buon "argomento" a favore di un'arte che oggi intende riaffermare il ruolo primario della costruzione, raffreddando i procedimenti artistici e restituendo al linguaggio la propria autonomia. Consolazione accentua questa disposizione diffusa tra gli artisti più giovani rivelando una forte propensione a giocare con i segni della scultura, a servirsene come attrezzi scenici, ad esibirli addirittura come protagonisti e a costruire con essi una sorta di teatro, di teatro della scultura: di qui, la sua inclinazione per 1'artificio, per 1'impiego freddo degli strumenti linguistici, il piacere del coinvolgere lo spettatore mediante una sapiente costruzione della fiction. La scultura di Consolazione sembra fatta per un palcoscenico, per una messa in scena in cui realtà e finzione si mescolano insieme colorandosi delle tinte suggestive di una favola. L'artista passa indifferentemente da un materiale all'altro, dalla stoffa alla terracotta, al legno e al piombo, o li combina insieme costruendo nello stesso tempo i personaggi e la scena in cui questi devono agire. Il racconto nasce cosi direttamente da una meditazione sulla materia e sulle sue possibilità di trasformazione: come un regista, o, meglio, come un demiurgo in miniatura, l'artista accumula paesaggi, figure di cavalieri e cita turrite, zattere e naufraghi alla deriva, torri impennacchiate come fumaioli di una fabbrica, e con essi costruisce il suo teatro plastico, rivolgendosi con ironia alla immaginazione dei bambini e alla memoria degli adulti. |
Libro, 1976 |
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